Quando la finanza tradisce l’economia è crisi

Quando la finanza tradisce l’economia è crisi

“Ogni crisi finanziaria è un’infedeltà alla realtà economica.”

La frase può sembrare poetica, ma è in realtà una diagnosi. Perché ogni crollo dei mercati è il sintomo di una disconnessione profonda dalla realtà produttiva.
La finanza nasce per sostenere l’economia: per permettere agli agricoltori di seminare prima di vendere il raccolto, agli imprenditori di avviare un’azienda prima di avere i primi ricavi, agli Stati di costruire ponti, scuole e ospedali.
In origine, la finanza è un ponte tra il presente e il futuroMa quando quel ponte si allunga troppo, quando smette di essere ancorato alla sponda della realtà, allora diventa una trappola sospesa nel vuotoE prima o poi crolla.

Una crisi finanziaria non è soltanto il ribasso dei titoli in Borsa. È una perdita di fiducia nel futuro. È il momento in cui ci si accorge che il castello costruito nei fogli Excel non ha fondamenta reali.
È come se tutti, nello stesso istante, si svegliassero da un sogno condiviso e si accorgessero che l’economia reale – quella fatta di fabbriche, stipendi, bollette – non giustifica più i prezzi, le aspettative, le promesse su cui si basavano investimenti e crediti. E allora iniziano i default, i crolli, il panico.
E chi paga? Sempre loro: i cittadini comuni, che spesso non avevano nemmeno partecipato al banchetto, ma si ritrovano a raccogliere i cocci dopo il disastro.

Dot-com bubble (1999–2001): il sogno del web si scontra con la realtà
Negli anni ’90, l’euforia per Internet fece esplodere la prima grande bolla dell’era digitale. Startup con nomi esotici, ma senza prodotti, clienti né ricavi, venivano valutate miliardi. Bastava che un’azienda si dichiarasse “.com” per attirare investimenti.
La finanza speculava su un futuro immaginato, senza aspettare che l’economia reale producesse i risultati.
Quando si capì che la maggior parte di quelle aziende era solo un sito web con una buona storia, il mercato crollò. Il Nasdaq perse oltre il 70% del valore in due anni. Milioni di investitori persero tutto. Ma la rete di sicurezza non esisteva.

La grande crisi del 2008: quando la casa diventa un’arma finanziaria. La crisi dei mutui subprime è il caso simbolo della rottura definitiva tra economia e finanza.
Negli Stati Uniti, si iniziò a concedere mutui anche a chi non aveva alcuna garanzia di poterli ripagare. Ma la finanza inventò strumenti – i famosi CDO e MBS – per impacchettare quei mutui e venderli nel mondo intero come se fossero sicuri.
Anche le grandi banche, che avrebbero dovuto controllare, erano dentro fino al collo, attratte dai profitti immediati.
Quando gli insoluti cominciarono a salire, tutto crollò: banche fallirono, famiglie persero le case, milioni rimasero disoccupati.
La finanza aveva dimenticato l’economia reale. E l’economia reale si è vendicata.

FTX e le cripto-bolle: la lezione che non abbiamo imparato. Più recentemente, il caso FTX – la piattaforma di criptovalute guidata da Sam Bankman-Fried – ha ripetuto gli stessi errori, ma in salsa moderna. Una struttura opaca, una moneta senza valore intrinseco, una narrazione perfetta per attrarre giovani investitori. Molti ci hanno visto un’alternativa al sistema bancario tradizionale. Ma in realtà, FTX non era sostenuta da nessuna economia reale.
Quando la fiducia è crollata, centinaia di migliaia di risparmiatori hanno perso tutto. Anche qui: la finanza aveva costruito una realtà parallela, senza legami con la produzione, con il lavoro, con la vita quotidiana.

Il dramma delle crisi: chi perde e chi guadagna. Il punto più ingiusto delle crisi è questo: chi ha causato il disastro spesso ne esce illeso o arricchito, mentre le vittime sono le più vulnerabili. I manager che vendono prima del crollo. Le banche salvate con denaro pubblico. Gli speculatori che scommettono al ribasso.
E dall’altra parte: I piccoli investitori truffati. I lavoratori licenziati. I contribuenti chiamati a pagare il conto.
Questo meccanismo rompe il patto di fiducia su cui si regge ogni società democratica. E alimenta rabbia, populismo, sfiducia nelle istituzioni.

Non dimentichiamolo: la finanza non è un nemico in sé. È nata per uno scopo nobile: sostenere la crescita economica.
Ma per farlo, deve restare ancorata alla realtàQuando si chiude nel suo mondo di algoritmi e rendimenti, tradisce la sua missione. Diventa una religione del profitto, cieca a tutto il resto.

Serve allora una nuova alleanza tra economia e finanza: in cui il denaro segua il lavoro, non lo schiacci; in cui gli investimenti sostengano l’innovazione, la sostenibilità, il progresso; in cui le regole impediscano ai pochi di arricchirsi sulla pelle di molti.

“Il pane non si produce a Wall Street.” Questa frase può sembrare provocatoria, ma è vera.
La finanza può moltiplicare, organizzare, canalizzare. Ma non può creare valore da sola. Il valore viene da chi lavora, da chi produce, da chi rischia nel mondo reale. Quando dimentichiamo questo, quando crediamo che basti far salire un grafico per creare ricchezza, allora stiamo preparando la prossima crisi.

Il futuro sarà sostenibile solo se sapremo riportare la finanza al suo ruolo originario: servire l’economia, non dominarla. Accompagnare la crescita, non pilotarla. Proteggere il risparmio, non depredarlo. Solo così, economia e finanza potranno camminare insieme, come due gambe dello stesso corpo, e non come due treni destinati a scontrarsi.

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